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Gli arresti giurisprudenziali, ultimamente, ha espresso parere favorevole sull’addebito di cui al DPR 309/90 (reati di cessione di sostanza stupefacente) sulla scorta delle sole intercettazioni tra cedente e acquirenti.
Sul tema, però, occorre essere attenti, poiché la giurisprudenza ha chiaramente delineato quando l’uso delle espressioni, ipoteticamente riferibili a un fatto illecito, possa dirsi sufficiente a provare tale fatto senza che di esso vi siano conferme oggettive e, in particolare, ha chiarito che l’uso di un linguaggio criptico e dal significato vago e indeterminabile è sufficiente a fondare una prova o quanto meno un indizio grave, preciso e concordante, a condizione che sia sorretto da una adeguata e rigorosa motivazione del giudice di merito (Cass. Pen. Sent. Sez 3 Num. 11655 del 2016).
Ciò vuol dire che non può affermarsi la responsabilità penale sulla base di un criterio di verosimiglianza, quando le espressioni intercettate non siano sufficientemente credibili e univoche; la giurisprudenza, infatti, ha dettato le linee guida per il corretto ricorso alla prova di verosimiglianza, sancendone la possibilità solo se sia possibile escludere plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato solo quale mero indizio (Cass. Pen. Sent. Sez. 6, n. 5905 del 2011), non bastante per una sentenza di condanna.
Avv. Silvio Tolesino