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La prescrizione è una causa di estinzione del reato connessa al trascorrere del tempo. Le ragioni che giustificano l’estinzione sono due:
L’art. 157 del codice penale definisce il termine prescrizionale, identificato nel tempo corrispondente al massimo della pena edittale. La stessa disposizione, poi, prevede una doppia soglia di punibilità e, in particolare:
Ai fini del computo dei termini prescrizionali, inoltre, non assumono rilevanza le circostanze attenuanti od aggravanti, fatta eccezione per quelle ad effetto speciale o che prevedono l’applicazione di una pena di specie diversa da quella ordinaria.
L’imputato ha la possibilità di rinunciare alla prescrizione se ha interesse ad ottenere una sentenza di assoluzione piena. Trattandosi di un diritto personalissimo dell’imputato, questo può essere esercitato esclusivamente dall’interessato – personalmente – ovvero mediante un procuratore speciale all’uopo nominato.
La recente riforma in tema di prescrizione, introdotta dalla Legge Spazza-corrotti – in vigore dal 2020 – ha modificato la disciplina relativa al dies ad quem del decorso del termine di prescrizione del reato. Questo, dunque, è il tenore del nuovo art. 159, comma 2: «il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna».
Viene previsto, quindi, che il decorso del termine prescrizionale rimanga sospeso dopo la sentenza di primo grado tanto di condanna, quanto di assoluzione fino alla data di esecutività della stessa, per poi riprendere il suo corso, con computo dei periodi di sospensione, se la sentenza di appello dovesse prosciogliere l’imputato.
La prescrizione del reato garantisce molteplici diritti dell’imputato. In primis, evita che un soggetto sia sottoposto a una giustizia penale illimitata così da considerarlo alla stregua di un presunto colpevole. Garantisce, inoltre, il diritto di difesa nel processo nonché la sua ragionevole durata. Un processo che non si prescrive, infatti, è un processo potenzialmente infinito o comunque molto lungo, e a distanza di troppo tempo dal fatto è difficile pensare di poter raccogliere un corredo probatorio tale da consentire una difesa adeguata. Il diritto a che il processo abbia una durata ragionevole, poi, è il requisito essenziale affinché il esso possa dirsi giusto e affinché altrettanto giusta possa considerarsi la decisione che ne deriva.
Dott.ssa Laura Giancola
Collaboratrice Studio Avv. Silvio Tolesino